Draghi difende riapertura scuole: “Dad crea disuguaglianze”
Tace sul Quirinale, stoppando i cronisti ancor prima di sottoporsi alle loro domande. Ma si scusa per i ritardi di una conferenza stampa che in molti attendevano giovedì scorso, quando il governo ha varato la nuova stretta obbligando gli over 50 – lavoratori e non – a vaccinarsi: “Ho sottovalutato le attese e di questo mi scuso”. Mario Draghi, in una conferenza stampa attesissima, ‘bastona’ i no vax ancora una volta: “Gran parte dei problemi che abbiamo dipende da loro”, dagli ‘irriducibili’ che si ribellano alla somministrazione, a volte al costo della vita. Ricorda più volte, con il ministro Roberto Speranza, che due terzi dei posti nelle terapie intensive sono occupati da loro, artefici di una scelta controcorrente a cui tutti gli italiani sacrificano ogni giorno una parte della loro libertà.
Rivendica a gran voce, il presidente del Consiglio, la riapertura delle scuole, senza ritardi e senza rinvii: i ragazzi in classe dal 10 gennaio, come da calendario. A nulla sono valse le proteste copiose dei presidi, del fronte dei governatori capeggiato da Vincenzo De Luca, ma anche di alcuni virologi che chiedevano qualche settimana di riposo in più per evitare un’impennata di contagi da qui a due settimane. A chi gli domanda se non si corra questo rischio – con la conseguenza di un ritorno alla Dad generalizzato -, Draghi risponde netto, ricordando come la didattica a distanza crei disuguaglianze. E come i ragazzi abbiano pagato alla pandemia un prezzo troppo alto, per questo vanno protetti.
“La scuola è fondamentale per la democrazia – rimarca il premier – va tutelata, protetta, non abbandonata. Il governo ha la priorità che la scuola stia aperta in presenza. Basta vedere gli effetti della diseguaglianza tra gli studenti causati dalla Dad per convincersi che questo sistema scolastico provoca delle diseguaglianze destinate a durare, che si riflettono su tutto il futuro della loro vita lavorativa, anche sul futuro lavorativo e salariale. Si chiede agli studenti di stare a casa e poi la sera vanno in pizzeria: non ha senso chiudere la scuola prima del resto, non ci sono motivi per farlo. Bisogna respingere un ricorso generalizzato alla Dad. I ragazzi nel pomeriggio fanno sport, e vedono gli amici, quindi non ha senso chiudere le scuole”.
La scelta del governo, ricorda poi il presidente del Consiglio, è in linea con quella degli altri grandi Paesi europei. E sembra voler marcare la differenza con l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte quando, rispondendo a una domanda, rimarca: “Si dice ‘Draghi non decide più’. Stiamo dimostrando che la scuola aperta è una priorità e questo non è il modo con cui il problema veniva affrontato in passato”. Dalla sua, i numeri: “In media ci sono stati 65 giorni di scuola regolare persa rispetto a una media dei Paesi più ricchi del mondo dove la didattica non in presenza è stata di 27 giorni, quindi il triplo. In alcune città i giorni di scuola in presenza sono stati solo 42 in un anno. Non vogliamo fare più così, vogliamo fare che l’Italia resti aperta con tutte le cautele necessarie”.
“E’ vero i decreti si sono succeduti con grande frequenza – riconosce – In parte è la complessità della materia, in parte è perché il quadro che si sta costruendo è diverso rispetto a quello che c’era quando la pandemia era più grave. Bisogna colpire il virus, vaccinare e nello stesso tempo cercare di non fare come forse si era obbligati nell’anno precedente tenendo chiuso tutto. Vogliamo l’Italia aperta“, l’obiettivo che guida l’azione del governo e Draghi ripete come un mantra.
Quanto alle fibrillazioni che hanno accompagnato il via libera all’ultimo decreto, “in una maggioranza molto grande come quella che caratterizza questo governo – spiega Draghi – è importante accettare la diversità di vedute, non la mediazione a tutti i costi. Per alcuni provvedimenti però l’unanimità è importante”, e deve sempre concretizzarsi “in una soluzione che abbia un senso”. Per Draghi, “la diversità di opinioni, le divergenze non sono mai state di ostacolo all’azione di governo“, quel che conta “è la voglia di lavorare insieme, finché c’è quella il governo va avanti bene”. (ADNKRONOS)